OTTOBRE 2020 INTERVISTA A "ROSY BONFIGLIO" Testo di Rosalinda Di Noia e Foto di Archivio

Ben ritrovati amici di Almax, da Rosalinda Di Noia!

Questa volta, per l’angolo delle interviste, incontriamo un’artista veramente completa, infatti, lei spazia dalla musica alla recitazione e recentemente ha fatto il suo esordio anche nel mondo della scrittura.

Per questo motivo, con molto piacere, vi vado a presentare Rosy Bonfiglio.

Ma andiamo ad approfondire meglio il discorso con questa chiacchierata che ho avuto modo di fare con lei.

RDN: Ciao Rosy, benvenuta e grazie per la tua gentilissima disponibilità!

RB: Ciao Rosy e grazie a te!

RDN: Come è nata la tua passione per l’arte a tutto tondo, visto che sei attrice, musicista e anche autrice?

RB: Qualcuno mi ha messo in mano delle chiavi per aprire una di queste porte e l’immensa meraviglia per quello che vi ho trovato dentro mi ha portato a visitare pian piano tutto il castello! Da bambina sicuramente avevo manifestato presto una naturale inclinazione per alcune discipline, come il disegno e la lettura. Quest’ultima soprattutto mi ha legato molto presto al mondo dell’immaginazione, delle parole, delle storie. Il liceo classico ha poi rappresentato un punto di svolta importante: ho avuto la fortuna di incontrare degli insegnanti che hanno contribuito ad alimentare la mia fame di “qualcosa oltre le apparenze”, penso al Prof. di Greco e Latino, alla Prof. di Italiano, che insieme a un suo ex alunno (che poi sarebbe diventato il mio primo amore), mi spinse a fare una prova di “recitazione" per il laboratorio teatrale scolastico, episodio in luogo del quale decisi fermamente che "avrei voluto fare l’attrice punto e basta". La storia d’amore con quel ragazzo fu in seguito pure decisiva: ha segnato un viaggio di crescita e conoscenza, scambio, confronti sfidanti e stimolanti, scrivevamo tra l’altro entrambi, a volte anche insieme…abbiamo condiviso molto ed è stato una fonte di ispirazione importantissima per me, per quella mia fame di “qualcosa di più”, è una persona di grande valore. Mi regalò anche la mia prima chitarra, senza che mai ne avessi chiesto una né avessi pensato di iniziare a suonarla. Fu un suo “dono" e basta, nel senso più pieno del termine. Gli sarò grata per sempre di tutto questo. Sin da piccolina avevo una sensibilità spiccata e di certo un mondo interiore ricco e anche parecchio complesso, ma questi incontri sono stati fatali: abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci aiuti a vedere certe cose che sono dentro di noi così che possiamo diventarne consapevoli e coltivarle. Questo ti permette di capire cosa farne, come farle fiorire. Capita anche di fare tutto da soli alle volte, per carità, ma non è scontato, o almeno non è detto che accada. Da una cosa è poi scaturita un’altra: il teatro mi ha fatto scoprire il canto, che si è legato naturalmente alla musica, in varie forme, e tutto si è sempre intrecciato alla scrittura…così di seguito. I modelli e le guide hanno un ruolo fondamentale: forse anche per questo sono diventata una Coach…sono così grata a chi mi abbia aiutato a scoprire i miei talenti che mi riempie di gioia poter contribuire a questa scoperta anche negli altri, a vari livelli.

RDN: Quale tra le tre arti è la tua preferita? Reputi che siano connesse tra loro o le vivi in modo separato?

RB: Difficile parlare in termini di preferenza, sono profondamente innamorata dell’Arte in generale, anche di quella che non pratico direttamente. Rispetto alle discipline di cui mi occupo dipende molto da come mi sento, dal momento specifico, da quale linguaggio senta più funzionale per rispondere a determinate esigenze, mie e del mondo circostante. A volte la scrittura è il modo migliore per dar voce e forma al magma creativo, altre volte sento di aver bisogno in modo quasi fisico dell’incontro con l’altro, e anche di esprimermi più pienamente attraverso il corpo. Sicuramente il Teatro, inteso come luogo dell’incontro per eccellenza, occupa un posto speciale dentro di me, ne parlo spesso come del mio “grande Maestro”. Direi che investa in modo trasversale tutte le altre attività, la musica soprattutto. L’interpretazione di un personaggio e quella di una canzone sono estremamente vicine in fondo: in entrambi i casi stai raccontando una storia, te ne stai facendo canale attraverso tutto il corpo, la stai regalando e condividendo con altre persone, stai “vibrando” contemporaneamente con qualcosa di intangibile, con loro e con te stesso. In quest’ultima frase sento chiaramente la compenetrazione tra tutte le arti.

RDN: Come attrice hai lavorato sia nel mondo del cinema che in teatro, quale tra i due “palcoscenici” ti dà più emozioni?

RB: Anche in questo caso vale un po’ quanto detto prima rispetto al Teatro. Aggiungo ad ogni modo che amo molto il cinema: le esperienze avute sono state molto significative sebbene legate a un momento del mio percorso direi più “acerbo”. Mi piacerebbe sicuramente farne un’esperienza adesso, più matura, alla luce di tanti cambiamenti che si sono verificati nel mio modo di rapportarmi a questo linguaggio e, aggiungerei, anche nel mio modo di rapportarmi a me stessa, come donna e come artista. Se poi parliamo di emozioni, è di certo innegabile che il solo pensare a un teatro, alle poltrone, al palcoscenico…mi fa sempre venire i brividi. E ti confesso anche un’altra cosa: lo sogno quasi tutte le notti, in forme diverse e talvolta abbastanza assurde, ma è diventato da un certo tempo a questa parte una presenza costante di tutte le mie visioni oniriche.

Foto Rosy Bonfiglio 2

RDN: Tra le varie esperienze che hai maturato in questo campo quale porti più nel cuore?

RB: Parlo spesso di CAPINERA, il mio primo spettacolo come autrice e regista oltre che interprete. È stata e continua a essere un’esperienza di crescita e grandi sorprese, per me e per gli altri. Il personaggio di Maria mi muove e commuove come pochi, è riuscito a toccarmi a una profondità difficile da spiegare. Questo lavoro rappresenta inoltre il mio primo grande atto di coraggio, considerando che ebbe il costo di una rinuncia e di una scelta professionale importanti, e al contempo un ricordo meraviglioso di ricerca, studio, intenso lavoro e impegno condiviso con persone straordinarie, amici e professionisti di grandissimo valore. Lo dico sempre: quello spettacolo è stato e continua a essere il mio "manifesto di libertà”, per gli altri e per me stessa. E parlando di esperienze del cuore aggiungerei anche il set di UN CAOS BELLISSIMO, di Luciano Accomando, girato a Palermo con una troupe eccezionale. Racconta la storia di un’illustratrice palermitana, Lia, che deve trovare un’idea per una cartolina che rappresenti la città. In piena crisi creativa incontra questo ragazzo di colore, Bilal, appena giunto in città dopo aver perso i genitori, con cui nasce uno strano rapporto di solidarietà e conflitto, comprensione e diffidenza, curiosità anche, infine grande complicità. Era la prima esperienza cinematografica, arrivata davvero per un caso fortuito e fortunato (al provino tra l’altro portai un estratto di Capinera!). Fu una settimana magica, all’insegna di un mix decisamente privilegiato e direi raro: bellezza umana e qualità professionale, cura, rispetto, grande divertimento, gioia e genuinità. Con la maggior parte di quel gruppo di lavoro ho instaurato rapporti di amicizia che durano ancora oggi, condividiamo un profondo affetto.

RDN: Il cinema ti ha anche regalato molte soddisfazioni, infatti, hai ricevuto svariate nomination in Festival Internazionali e vinto un premio come Migliore Attrice Protagonista durante l’Eurasia International Film Festival di Mosca grazie al cortometraggio “Amore Panico” di Cristian Patanè… Parlaci di questa esperienza.

MB: Abbiamo girato AMORE PANICO esattamente la settimana successiva al set di cui parlavo prima: un passaggio abbastanza destabilizzante vista l’abissale differenza tra i due lavori. Era un film difficile direi, sotto molti punti di vista, che pure mi è valso un’esperienza sicuramente indimenticabile. Una giovane donna in procinto di sposarsi che, nel giorno delle prove nuziali, a pochi passi dalla chiesa viene rapita da un misterioso uomo, col quale intesserà un ambiguo rapporto, giocato sul filo tra eros e thanatos, fino a concludersi in modo catartico e quantomai drammatico. Complice una location mozzafiato e al contempo ostile (i laghetti di Cavagrande, in Sicilia) nel mese in cui abbiamo girato (era novembre e quella del set fu una delle settimane più incredibili di nebbia e pioggia che non si fossero mai viste da quelle parti), il film di Cristian era intriso di mistero, di non-detto, di simbolismi. L’energia del luogo e della storia hanno reso complessa l’interpretazione, per quanto potessi contare anche in quel caso su professionisti di grande spessore, su un compagno di scena straordinario, Francesco Biscione, e su Cristian che a dispetto della giovane età guidava con grande maestria quella macchina così impegnativa. Difficoltà logistiche, difficoltà emotive e psicologiche, a tratti anche fisiche, hanno reso quest'esperienza sfidante e adrenalinica. È un film che ho molto sentito.

RDN: Qual è il tuo rapporto con la musica, visto che spesso le opere teatrali a cui hai lavorato ti hanno vista nelle vesti di cantante?

RB: La musica è una grande compagna di viaggio, uno di quei doni che hai per la vita e di cui mi reputo sempre molto fortunata. La fortuna è stata incontrare delle persone che me la facessero conoscere innanzitutto, oltre a guidarmi nello studio e nella scoperta dei miei “talenti" legati a essa. Il rapporto con la voce rappresenta un passaggio cruciale nella conoscenza di sé stessi (non solo come artisti), oltre a essere un’esperienza estremamente emozionante. Il mio non è stato affatto semplice, anche perché la voce rappresenta uno dei miei “punti deboli”, in cui somatizzo particolarmente stress, ansie e malesseri di altra natura. Ho scoperto qualche tempo fa di avere una piccola anomalia a una corda vocale, il che rende la mia voce più delicata da gestire e anche da utilizzare. Questo “difetto" ha contribuito a renderci più alleate, oltre ad alimentare un mio ascolto e una conoscenza molto profonda del mio corpo, che frequentemente attraverso lo stato di salute della mia voce mi suggerisce moltissime informazioni utili su di me! Non mi definisco mai una musicista, lo trovo irrispettoso nei confronti di chi abbia dedicato i suoi studi a questo ambito, cosa che io non ho fatto, integrando appunto la musica al resto del mio percorso artistico. Sono forse una “creatrice musicale”, ho imparato a suonare la chitarra da autodidatta e utilizzo lo strumento per lo più in modo intuitivo, diverso è certamente con la voce e il canto, in cui sono stata affiancata nel tempo da figure fondamentali come Claudia Martino Aschelter, in Accademia, poi Francesca della Monica e in tempi più recenti dalla straordinaria vocal coach Mariella Arghilacopulos, che mi ha accompagnato nel percorso legato al problema di cui parlavo prima, guidandomi in una vera e propria ri-scoperta delle mie potenzialità vocali. Le sono profondamente grata. Quello della musica è un linguaggio davvero universale, come quello del corpo, del movimento. Amo il fatto che abbia a che fare fortemente con la fisica, con le vibrazioni, con l’energia. Dimostra una dimensione potente che supera la razionalità e il linguaggio, che ci riconnette con la nostra consistenza più impalpabile, più misteriosa, più interiore.

Foto Rosy Bonfiglio 5

RDN: So che nel 2010 hai anche fondato un duo acustico dal nome “Minouge” illustraci meglio questo progetto…

RB: Il Minouge Duo ha rappresentato una parentesi di musica e di vita a cui sono davvero molto affezionata. Quando vivevo a Roma, durante il primo anno di Accademia entrai a far parte di una rockband, si chiamava Mavarìa: era un progetto inedito e dal grandissimo potenziale, seppur le circostanze lavorative successive ne resero inevitabile l’arresto. Eravamo un gruppo di amici innanzitutto, lo siamo ancora adesso pur sparpagliati per l’Italia e con interazioni purtroppo rare e intermittenti. Con il chitarrista in particolar modo, Davide Sparpaglia, decidemmo di salvare qualcosa di quell’incontro fondando un progetto più facile da gestire, che nacque dall’intuizione che i brani di Mina potessero ben sposarsi con la mia voce. Da qui il duo acustico MINOUGE (da leggere quindi alla francese e non come il cognome della cantante Kylie!), in cui riarrangiavamo le canzoni più famose della grande Mina, spaziando attraverso tutti i generi musicali. Davide è un musicista straordinario, oltre ad avere una bellissima voce, che ci permetteva di duettare talvolta o costruire delle strutture vocali dinamiche che rendevano i pezzi molto originali. Ci siamo divertiti molto. Raramente ho incontrato una sintonia musicale così forte e immediata con un musicista. Tra l’altro il progetto si espanse alla musica italiana e straniera dagli anni ’60 agli anni ’80, per cui mettemmo su un repertorio di evergreen che diventava pretesto per un piccolo show, cosa in cui si trasformava puntualmente ogni concerto (Davide era anche una spalla comica notevole!). Le strade si sono poi inevitabilmente separate e ad oggi io vivo a Milano, per cui tutto diventa ulteriormente complesso. Mi rimane nel cuore di certo una speranza che potremo "riconvergere" un giorno e tornare magari a fare musica insieme!

RDN: Nel 2017 prendi parte a “La Divina Commedia Opera Musical” nel ruolo di Francesca da Rimini… parlaci di questa esperienza e soprattutto c’è qualcosa che ti accomuna a questo personaggio?

RB: Far parte di un colossal come La Divina Commedia Opera Musical è stato senza dubbio un grandissimo privilegio, è stato il mio primo incontro con il mondo del Musical e devo dire che mi ha fornito importanti indizi anche rispetto a quanto ti raccontavo prima sulla voce: è stato durante quell’anno di tournée che ho cominciato a percepire qualcosa di strano e successivamente questo mi ha comportato un profondo blocco psicologico nei confronti del canto. All’epoca non mi resi conto di cosa si trattasse, anche perché al termine di quella prima stagione il regista Andrea Ortis mi propose di affiancarlo come assistente, cogliendo in me una propensione molto forte alla scrittura e alla regia (collaborazione che ci portò anche a scrivere in seguito un lavoro di prosa a 4 mani su Sibilla Aleramo e Dino Campana). Oltre a prender parte ad alcune revisioni più strettamente creative dello spettacolo, ho quindi seguito l’intera macchina e il coordinamento tra le funzioni tecniche e artistiche, vestendo dei panni decisamente inediti per me. È stata un’esperienza di grande crescita. L’anno in cui ho interpretato Francesca da Rimini lo ricordo come un momento di grande insicurezza: temevo di non essere all’altezza del compito e questo mi faceva vivere ogni replica con grandissima ansia da prestazione. Il canto moderno, o anche quello classico, lirico (da cui proviene la mia base tecnica accademica) sono profondamente diversi da quanto è richiesto nel musical, per cui era necessario approcciare quell’interpretazione con degli strumenti diversi da quelli che fossi solita padroneggiare. Ho amato molto quel personaggio, anche se devo ammettere di averlo “sentito" meno di tanti altri. Intendo come attrice in senso stretto, cioè nel momento dell’immedesimazione. Studiandola ne ero molto affascinata, lo trovo senz’altro uno tra i personaggi più potenti dell’opera dantesca, piena di significati e sfumature e sicuramente anche di punti di contatto con me come donna. Risuonavo fortemente con la sua passionalità, talvolta cieca, talvolta in un certo senso “pericolosa”, eppure stranamente non ricordo di aver mai vibrato all’unisono con lei vestendone i panni. Questa “distanza" era forse frutto delle preoccupazioni di cui parlavo prima, probabilmente mi lavoravano sotterraneamente, e questo è un aspetto molto delicato per ogni interprete: quando la mente ti distrae, non puoi essere presente al 100% nella tua interpretazione, è come se una parte di te fosse sempre un po’ altrove, è andata in effetti un po’ così. Ad ogni modo entrambe le stagioni mi hanno regalato degli apprendimenti significativi, sia per le mie attività musicali sia per quelle autoriali.

RDN: Oltre a tutto questo riesci anche a dedicarti all’attività di Coach, in cosa consiste e soprattutto qual è l’aspetto che ti piace di più di essa…

RB: Mi sono ritrovata innanzitutto a fare l’Acting Coach praticamente nello stesso periodo in cui ho iniziato a lavorare come attrice. Mi erano da subito arrivate delle richieste da alcuni allievi e così ho iniziato a insegnare recitazione. Andando avanti e sviluppando i miei progetti autoriali soprattutto, avevo cominciato ad alimentare un interesse crescente per ciò che, attraverso lo studio della recitazione, del teatro, delle arti performative, si potesse apprendere per altri contesti di vita. Terminata quindi la seconda stagione di Divina, ho iniziato un master a Milano presso SCOA - The School of Coaching. Oggi sono una Business Coach certificata EMCC (European Mentoring & Coaching Council) e collaboro con SCOA come docente della scuola e con Performant (società che pure fa parte di SCOA) come Business Coach. Quello del Coach è un mestiere davvero speciale, molto difficile, ogni giorno ricominci un po’ da capo e non smetti mai di imparare qualcosa su di te e sugli altri. Tra l’altro è la stessa sensazione che ti lascia anche il mestiere dell’attrice. Lo trovo estremamente stimolante, si fonda su alcuni miei interessi molto forti che da tempo quindi coltivavo in autonomia, cioè la consapevolezza personale, i comportamenti umani e l’importanza di strumenti ed esperienze atti a modificare quelli che comprendiamo essere disfunzionali ai nostri obiettivi e più in generale al nostro benessere. L’intuizione che il teatro e le arti in generale fossero fonti inesauribili di apprendimento in tal senso era molto buona, ma aveva bisogno di un contesto per assumere dei contorni più concreti. In SCOA e Performant ho trovato proprio questo contesto, che definirei davvero straordinario e che pone un’attenzione speciale all’Arte come strumento di facilitazione e sviluppo, il che mi ha permesso di dare forma, struttura e concretezza a tutte le mie ricerche e sperimentazioni precedenti, acquisendo un metodo innanzitutto, studiando, facendo molta pratica, osservando gli altri e la loro esperienza, imparando anche a conoscere il mondo delle Organizzazioni, a me così estraneo. La fiducia che Performant ha riposto in me, proponendomi questa collaborazione lo scorso anno, a dispetto della mia età e del mio background, entrambi insoliti per questa professione, ha avuto per me un valore enorme, è stato fortemente motivante. Hanno creduto in me affidandomi sfide impegnative, da cui ho tratto grandissime soddisfazioni, gli sono molto grata. E poi sai cosa mi piace più di tutto del Coaching? Che sia un’attività volta a farci diventare una versione migliore di noi stessi, e questo avviene sia per il Coach sia per il Coachee, oltre a risvegliare, in ognuno che lo pratichi, una grandissima spinta a voler essere a sua volta utile a qualcun altro.

RDN: Domanda che facciamo praticamente a tutti gli artisti come vedi la scena attuale dello spettacolo visto anche la dura battuta d’arresto che ha dovuto subire a causa della pandemia?

RB: Vedo una grande possibilità. E al contempo un grande rischio. Più che parlare di spettacolo in senso stretto parlerei dell’Arte: spettacolo è una parola scivolosa, forse anche su questo bisognerebbe ragionare meglio, certi fraintendimenti lessicali si ripercuotono inevitabilmente sui comportamenti. La possibilità che vedo è di restituire all’Arte il suo ruolo primigenio: quello di educare la società, in senso etimologico, quindi “trarre fuori” (come fosse un Coach!) la vita interiore, individuale e collettiva, fatta di pensiero, di emozione, di spirito. È un momento in cui poter fare pulizia, in cui chiedersi cosa sia necessario e cosa no, cosa risponda effettivamente a un bisogno e a quale. Il rischio è innanzitutto di non vedere questa possibilità, per miopia o disperazione, di perdersi nelle proprie esigenze personali, per interesse (e quindi disinteresse) a volte, per legittima sopravvivenza altre. Se sono in mezzo ad una strada con un affitto da pagare e una famiglia da mantenere direi che ci siano giustamente altre priorità, bisogna essere realisti. Penso che questa pandemia abbia colpito alcuni più di altri, ne faccio un discorso generale di persone e lavoratori, senza entrare nel vivo delle categorie. A maggior ragione chi può permettersi il lusso di attivare, facilitare, influenzare un cambiamento virtuoso, deve farlo. Se io non avessi iniziato a lavorare lo scorso anno come Coach, avrei sicuramente sofferto molto di più il blocco nazionale. Mentre ogni mio lavoro artistico era saltato, come a tutti, ho continuato fortunatamente a lavorare, a guadagnare, a pagare l’affitto, senza sussidi statali per altro. Per ragionare in un’ottica comunitaria, quando qualcuno è in affanno tocca a chi sta meglio fare qualcosa in più, e quel qualcosa in più non deve guardare al proprio interesse personale e soprattutto va indagato molto a fondo. Trovo importante che si riparta e se succede - come vedo in questi giorni - ne sono certo felice. Temo però che si curi ancora una volta il sintomo e non il male. Sono emerse criticità più profonde e non parlo solo delle incongruenze legislative. C’è un grosso tema di diseducazione e di ineducazione all’Arte che investe tutta la società. Il bisogno di Teatro si è espresso come un bisogno di chi il Teatro lo fa, non mi risulta che nessun cittadino abbia lamentato lo stop degli spettacoli, credo ci sia stato più fermento per tornare a fare gli aperitivi in piazzetta tutti insieme. Mi costa dirlo, mi rattrista certamente, ma è una realtà che non possiamo ignorare e su cui personalmente continuo a interrogarmi, costruendo qualcosa che nel mio piccolo possa andare nella direzione di una graduale rieducazione. L’Arte non dovrebbe mai imporsi, dovrebbe esserci e basta, come fatto naturale, inevitabile, sociale. Dobbiamo essere tutti più pronti a fare un passo indietro pur di creare le condizioni affinché questo avvenga, con l’unica dignità possibile per un’istituzione così alta, nobile, fondamentale.

Foto Rosy Bonfiglio 4

RDN: Che consigli ti senti di dare ai giovani che si avvicinano a questo mondo decidendo di farne una vera e propria professione?

RB: Di interrogarsi a fondo sui loro perché. Di avere ben chiaro cosa si aspettino dal mestiere che scelgono, e cosa loro siano disposti a dare, cosa che tra l’altro vale per ogni ambito, artistico e non. Per quanto concerne l’Arte penso che il rischio più alto sia nelle discipline performative, visto che oggi più che mai solleticano la vanità, l’ego personale, alimentando un certo bisogno di mettersi in mostra, di apparire, di essere riconosciuti, “visti”. Dipende dalla società in cui viviamo, da come ci propone e ci vende certi miti. Oggi tutti vogliono diventare famosi, essere popolari. È un fenomeno che mi incuriosisce e mi deprime al tempo stesso. I giovani hanno un mondo meraviglioso dentro di loro, hanno bisogno di essere coltivati, nutriti, curati. Il mio consiglio è di essere curiosi, di non accontentarsi di ciò che è moda, tendenza, di non omologarsi. Di essere coraggiosi, di cercare sempre qualcosa oltre l’apparenza. Di chiedersi se valga la pena e perché. E quale contributo vorrebbero apportare nel mondo attraverso il loro lavoro. È una lista impegnativa, richiederebbe l’aiuto di figure, guide e modelli, sicuramente più validi di quelli che offriamo ai giovani di oggi, ma voglio essere ottimista. Io sono stata fortunata, te lo raccontavo all’inizio e aggiungo anche che ho una famiglia davvero eccezionale: per quanto a casa mia non si masticasse Arte in nessuna forma, i miei genitori sono stati sempre presenti e attenti a che io mi “nutrissi" bene, mi hanno educata alla responsabilità, concetto delicato oggigiorno. È la responsabilità che mi ha permesso di fare sempre delle scelte libere, mature, consapevoli. Scelte più o meno condivise, più o meno comprese talvolta, ma posso dire che la mia famiglia abbia davvero "seguito" il mio percorso di crescita, e anche questo oggi non è così scontato, vedo molto egoismo e superficialità tra i genitori attuali. Mi intristisce quando un genitore fotografa il figlio adolescente in pose da copertina, incoraggiandolo verso questo esibizionismo vuoto, che, a una certa età soprattutto, trovo parecchio rischioso. Più che mai quindi i giovani di oggi hanno bisogno di essere presenti, svegli, di scegliere bene i loro modelli, anche fosse fuori da quelli predefiniti. Vedo due trend molto contraddittori e singolari tra i giovanissimi: da una parte i fanatici di tiktok che emulano gli influencer pubblicando movenze inutili per ottenere consensi, dall’altra gli attivisti, sensibili ai valori universali, al benessere del pianeta, alle battaglie per i diritti umani. Conosco direttamente esponenti dell’una e dell’altra categoria e mi chiedo cos’abbiano di diverso. Forse i modelli? Gli stimoli? Le guide? Io suggerisco sempre di fermarsi, sempre, prima di fare qualsiasi cosa, che sia una telefonata o un post o una scelta di vita, e chiedersi: perché voglio farlo? A quale bisogno risponde? Lo faccio io stessa e mi smaschera sempre da tanti abbagli, mi reindirizza, lo trovo un esercizio pratico e di grande aiuto.

RDN: Durante la quarantena hai pubblicato il tuo primo lavoro come scrittrice “Nei Giardini dell’Erebo”, com'è nato e com'è scaturita la scelta di pubblicarlo in un periodo proprio così difficile e complesso per l’arte?

RB: Ho iniziato a scrivere questo libro nel 2016 e l’ho terminato alla fine del 2019. Tre anni di vita intensa che è confluita in questi componimenti che sbocciano proprio come fiori di un giardino esistenziale in cui la vita esplode, germoglia, appassisce, prolifera, rinsecchisce, si rigenera. Una sorta di Samsara. Ho dato voce e ordine a un disordine interiore che mi ha richiesto grandi energie, grande solitudine anche, un lungo percorso di conoscenza ulteriore di me stessa probabilmente. Conoscenza passata attraverso le esperienze, gli incontri, quelli terreni e anche quelli spirituali. Scrivere NEI GIARDINI DELL’EREBO è stato un viaggio che mi ha condotto a una riconciliazione, che ha ricomposto una frattura. Quando è arrivata la pandemia e il successivo lockdown, ho sentito fortemente che tutto assumesse un senso e un valore nuovo. Ho rimesso in discussione molte cose e osservato quali eventuali ritardi stessi accumulando in certi appuntamenti con me stessa: con persone della mia vita ad esempio, e anche con questo libro, che aspettava un momento giusto che forse non sarebbe mai arrivato. Ho avuto come un’epifania, l’ho pubblicato in 48 ore filate di revisione matta e disperatissima ed editing, optando inevitabilmente per il self-publishing, così da esser certa che la sua uscita fosse più che mai “puntuale”. Volevo che rimanesse una traccia, una data significativa all’interno di questo strano tempo buio che stavamo attraversando. Volevo piantare un seme di vita laddove tutto sembrasse inaridirsi e così difatti è stato: è nato un progetto di straordinaria fioritura da questo libro e sono decisa a portarlo avanti affinché si espanda nel suo moto vitale, creativo e, nell’accezione di cui parlavo prima a proposito dell’Arte, educativo.

RDN: Se dovessi usare tre aggettivi per descrivere il libro quali useresti?

RB: Carnale, intellettuale, spirituale: questa la triade. Aggiungo anche intimo e generoso: è una condivisione profonda in cui facilmente si può contattare sin dalle prime pagine una messa a nudo impegnativa, eppure necessaria. Ogni forma d’Arte in fondo comporta anche questo: è un sentire individuale, privato, che diventa pubblico, a disposizione degli altri.

RDN: Tornando ai tuoi progetti professionali hai già in cantiere altri progetti per il futuro?

RB: Il libro mi ha suggerito l’idea per un progetto di “creatività collettiva” che si chiama I FIORI NELL’EREBO, in cui ho coinvolto artisti di discipline differenti affinché realizzassero una loro creazione a partire da una poesia scelta, diversa per ognuno. Ogni artista si è raccontato attraverso un fiore, che ha scelto per qualche motivo o caratteristica particolare, di cui abbiamo parlato nel corso di interviste settimanali con ciascuno, commentando insieme il loro processo creativo e “trasformativo” che dal testo ha originato una coreografica, un’illustrazione, una composizione musicale etc. Abbiamo di volta in volta ampliato le chiacchierate riflettendo su quali comportamenti di questo processo somigliassero ad altri della loro vita quotidiana, così da indagare la dimensione della creatività in un’ottica più ampia, più universalmente utile, anche direi più concreta. Il progetto ha una mission di tipo sociale, vuole creare un’occasione di incontro e confronto, attraverso l’Arte, su tematiche varie che riguardino tutti: la conoscenza di sé stessi, le relazioni interpersonali, le scelte di vita, i cambiamenti, le sfide di ogni giorno sono alcuni dei temi emersi in questa ricchissima rubrica. Questi 11 artisti straordinari hanno portato un contributo, artistico e umano, di grandissimo valore, e rappresentano una prima porzione di questo Giardino poetico del Fare, che vedrà nei prossimi mesi ulteriori sviluppi a cui sto intensamente lavorando e di cui non anticipo ancora nulla, un po’ per scaramanzia e un po’ perché i tempi non sono ancora maturi. Ad ogni modo questo è di certo il progetto più consistente e ambizioso a cui mi sto dedicando attualmente, insieme al Business Coaching, che mi vede particolarmente attiva nel lavoro con le Organizzazioni, soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo attraversando.

Cover Nei Giardini dellErebo

RDN: Per chi volesse acquistare il libro dove possono trovarlo?

RB: È possibile acquistarlo su Amazon, in formato Kindle e in formato cartaceo, e naturalmente ad ogni evento in cui lo presenterò, come alla Fiera del Libro di Cremona, il prossimo autunno.

Questi invece i canali dov’è possibile seguire i progetti legati al libro sul mio canale YouTube:

RDN: Grazie Rosy, per la tua disponibilità e ti aspettiamo quando avrai nuove cose da proporci.

MB: Grazie a te per la chiacchierata e sicuramente tornerò a trovarti appena ci sarà occasione!

Bene come avete potuto notare non c’è forza più trainante della passione e credere nelle proprie idee e mezzi oltre ad avere qualcuno che creda in te e ti stimoli in tutto ciò che volete fare.

Non mi resta che invitarvi ad andare a visitare i suoi canali social ovvero:

Per concludere, non fermatevi ad ascoltare e guardare sempre le stesse cose che vi piacciono o vi propongono i mass media, avete la fortuna di vivere nell’epoca dei social e internet esplorate questo mondo per scoprire cose e vi assicuro che potreste restare sorpresi. Sembra banale ma se usata bene la tecnologia il mondo potrebbe essere nelle vostre mani.

Con questo vi saluto e alla prossima!

Grazie da Almax Magazine per la cortesia e disponibilità. Con affetto e stima!