Amici di Almax, questo mese ho scambiato quattro chiacchiere con Federico Mecozzi, giovane violinista riminese, ma anche polistrumentista, direttore d’orchestra e compositore.
Forse qualcuno di voi si ricorderà della sua reinterpretazione dell’ Inno alla Gioia per i 250 anni del grande Beethoven.
Il video del brano è stato girato sul tetto del Grattacielo di Rimini (è stato il comune infatti a richiedere l’esibizione) all’alba, quasi a voler simboleggiare che alla fine la luce trionfa sempre.
L’artista suona il suo violino ed è accompagnato dai suoi musicisti: Anselmo Pelliccioni (violoncello), Veronica Conti (violoncello), Cristian Bonato (produzione, synth, harmonium), Stefano Zambardino (pianoforte, synth), Massimo Marches (chitarra, synth), Tommy Graziani (percussioni).
La sua versione dell’opera, Inno alla Gioia 2020, è distribuita dalla Warner Music Italia.
Ciao Federico e benvenuto sulle pagine di Almax Magazine.
Per quale motivo hai voluto metter le mani sull’ Inno alla Gioia di Beethoven (opera tratta dalla Nona Sinfonia del compositore tedesco ed inno ufficiale dell’Europa dal 1972)? Cosa rappresenta per te questo pezzo? Devo confessarti una cosa, io ho sempre amato suonarlo al pianoforte, diciamo che ho un “debole” per questo immenso composito.
“In verità all’inizio ero titubante perché è un brano apparentemente intoccabile… Ho trovato il coraggio perché penso che alla fine la musica appartenga a tutti e bisogna superare anche certi tabù. Oltre ad essere un motivo di bellezza assoluta, rappresenta lo slancio verso la luce, la positività, la gioia, con un sotteso riferimento all’urgenza che tutti hanno in questo lungo periodo negativo.”
Cosa “scatta” dentro ad un ragazzo che ha un’impronta classica “nell’abbracciare” anche la musica moderna? Certo la Musica (con la lettera maiuscola!) quando “colpisce” fa male, non puoi più “allontanarti”, è una “droga” buona, suonare uno strumento ti “libera” e ti “aiuta”, almeno per me è così, posso “abbandonare” il pianoforte per un po’, ma quando ho bisogno di “sfogarmi” so che lui è lì, come un “amante” affettuoso e paziente, che mi “trasporta” altrove.
“Ho sempre avuto l’dea della Musica a 360°, le etichette possono servire ad ordinarla, ma ogni genere di musica ha la propria dignità e a me piace contaminarli, sento il bisogno di scoprire sempre diversi universi musicali.”
Cosa ha rappresentato per te Sanremo? Ricordo ai nostri lettori che nel 2019 sei stato il più giovane direttore d’orchestra dirigendo Enrico Nigiotti e che quest’anno sei tornato per la seconda volta all’Ariston e questa volta hai diretto Luca e Matteo Dellai, romagnoli come te.
“È stata un’esperienza indimenticabile. Il valore di dirigere un’orchestra risiede nella possibilità di cambiare prospettiva rispetto all’essere strumentista, “suonare” un’orchestra intera permette di assumere un punto di vista totale della musica, di lavorare con professionisti di altissimo livello come nello specifico dell’orchestra di Sanremo, con il plus dell’esperienza divertente, per quanto stancante, di partecipare alla kermesse, di salire su un palco così prestigioso e celebre come quello dell’Ariston.
Inoltre è un percorso, quello della direzione, che ho coltivato già in parallelo durante il corso di studi al Conservatorio, evidentemente attratto fin da subito da questa “visuale” privilegiata, anche se non potrei mai sostituirla con la dimensione del concerto, del rapporto con il pubblico, rispetto all’universo televisivo, che non mi appagherebbe allo stesso modo.”
Quale lato del tuo essere “artista” rappresenta di più Federico?
“L’arte per me significa soprattutto creatività e ricerca di emozione sia nel momento della creazione che nel suscitarla, e nel riceverla. Per questo infatti il momento del concerto è per me quello di massimo valore, il momento di questa comunione emotiva e condivisione, massima espressione dell’arte, che si manifesta nell’emozione della fruizione.”
Come nasce la tua musica?
“Sono mille i modi e i momenti diversi nei quali posso ricevere spunto per la mia musica: di certo prediligo i momenti notturni, capaci di concentrare maggior ispirazione, grazie ad una dimensione più intima e introspettiva; spesso l’ispirazione è legata ai viaggi che ho avuto e continuerò finalmente di nuovo ad avere l’opportunità e la fortuna di fare, perché il viaggio è comunque una conoscenza continua e fonte di stimoli.
Lo sviluppo della mia musica avviene poi in studio, piuttosto che scrivendo, o spesso improvvisando… usando il violino come strumento di improvvisazione, per fissare poi alcuni spunti che ritengo validi.”
Il tuo ultimo lavoro, ROUNDELAY, uscito il 16 luglio, così come dice il termine che hai scelto ricorda un “rondò”; se chiudo gli occhi mi vedo “perdermi” in un palazzo veneziano, con musicisti da camera settecenteschi che suonano per “deliziare” gli ospiti del nobile che ha organizzato la festa. Cosa ha significato per te scrivere questo brano e cosa vuoi dire all’ascoltatore?
“ROUNDELAY significa girotondo o canzonetta con ritornello, e volevo proprio trasmettere questo senso circolare che è infatti suggerito dalla struttura della musica, questo senso di ostinazione ma anche di leggerezza, di liberazione dai pensieri in una chiave estiva (tant’è vero che il singolo è uscito d’estate), che significasse un po’ la spensieratezza di cui sentiamo tanto il bisogno, dove questa ostinazione mantrica funga da liberazione dalle preoccupazioni.”
Il 13 settembre c’è stato il tuo concerto al Parco degli Artisti di Rimini con l'Orchestra sinfonica Rimini Classica, il live intitolato “AWAKENING SYMPHONY” era sold out: cosa puoi dirci di questo spettacolo.
“È uno spettacolo a cui tengo tantissimo che finalmente siamo riusciti a realizzare dopo un’attesa di un anno e mezzo legata alla pandemia. Ci tengo molto perché è una trasposizione abbastanza radicale di tutti i brani che compongono il mio disco AWAKENING in una chiave sinfonica, con un’orchestra sinfonica di 42 elementi, Rimini Classica, e che riporta quindi la mia musica ad un mondo che mi è sempre appartenuto, quello di provenienza classica, che in genere mi piace rimescolare ad elementi più moderni, mentre in questo caso volevo invece esaltare con un “ritorno alle origini”.”
Se potessi “viaggiare” nel tempo, con quale compositore vorresti conversare, confrontarti e perché no “rubarne” i segreti?
“È difficile sceglierne uno, ma forse direi Vivaldi, perché nonostante sia un autore del primo Settecento lo considero modernissimo nella sua forma compositiva, possiede quella caratteristica che io stesso cerco tutte le volte che scrivo, ovvero di realizzare una musica che arrivi direttamente all’ascoltatore, senza troppi filtri, senza che sia necessaria una preparazione, uno studio, ma risulti universale, susciti un’emozione diretta; cosa che in altri compositori precedenti o successivi, appartenenti alla musica colta, classica, a volte è difficile trovare. Spesso infatti non tutto il loro repertorio arriva subito ad un pubblico non preparato, mentre la freschezza e modernità che trovo in Vivaldi credo possa essere colta da tutti, e non a caso tante sue opere sono universalmente famosissime, come le Quattro Stagioni che io considero fra gli apici della storia della musica.”
A nome mio e a nome di Almax Magazine, ti ringrazio e speriamo presto di poter “sentire” nuovamente la Musica “librarsi” come un uccello libera nell’aria…
Credits:
- Sito Ufficiale: http://www.federicomecozzi.com
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- Ufficio Stampa: RED&BLUE MUSIC RELATIONS
Amici di Almax con questo vi “saluto” e vi do appuntamento al prossimo mese, un bacio la “vostra Ely”.