OTTOBRE 2020 IN MEMORY OF EDDIE VAN HALEN Testo di Rosalinda Di Noia e Foto di Archivio

Ben ritrovati amici di Almax!

Inutile dire che ogni volta, per me, aprire questo spazio dedicato agli artisti che ci hanno lasciato non è mai piacevole, specie quando si tratta di stelle della musica che hanno fatto la storia e sono diventati una leggenda quando erano in vita e hanno accompagnato anche la mia crescita personale.

In data 6 Ottobre 2020 è venuto a mancare, all’età di soli 65 anni, Edward Lodewijk Van Halen, da tutti conosciuto semplicemente Eddie Van Halen, dopo una lunga lotta con un cancro alla gola.

Nato in Olanda si trasferisce all’età di 7 anni negli Stati Uniti con la sua famiglia a Pasadena. Si avvicina alla musica studiando pianoforte e batteria ma all’età di 12 anni scoprirà la sua vera vocazione, ovvero la chitarra. La passione per la musica e lo studio di essa la condivide con il fratello maggiore Alex ed insieme cresceranno sviluppando ognuno i propri stili musicali. Nel 1972 fondano la band “Van Halen” con Alex alla batteria ed Eddie alla chitarra aggiungendo Michael Anthony al basso e David Lee Roth alla voce. I Van Halen sono considerati una delle 100 migliori band hard rock di tutti tempi anche se con i loro primi dischi vengono accostati anche al mondo dell’heavy metal. Se a qualcuno non dice niente il nome della band, sicuramente, vi ricorderete il loro più grande successo “Jump” caratterizzato dal riff di sintetizzatore in apertura rivoluzionando così il mondo del rock aprendo la strada a band che lo utilizzeranno negli anni successivi.

Eddie, però non viene ricordato solo per i capolavori pubblicati con la sua band, anzi, è considerato una leggenda proprio perché è stato uno dei Guitar Hero della storia della musica. È stato un innovatore, rivoluzionario e genio della chitarra guadagnandosi tutto il rispetto e la stima dei colleghi più famosi, infatti, è stato proprio lui ad introdurre nel mondo dell’hard rock e heavy metal la tecnica del tapping che consiste nel suonare lo strumento con entrambe le mani sulla tastiera in modo da coprire intervalli inusualmente ampi e impossibili da raggiungere con altre tecniche tradizionali.

Per tutti i chitarristi famosi e per le generazioni a seguire è stato e continuerà ad essere un vero e proprio punto di riferimento per la sua originalità nel creare gli assoli di chitarra, per la sua grande attenzione alle parti ritmiche ma soprattutto per la sua padronanza del suono.

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Altra sua fondamentale caratteristica è la personalizzazione dello strumento, che verrà in seguito presa come abitudine da tutti gli artisti hard rock, dalla quale è nata la sua “Frankenstrat” (la sua chitarra dipinta da lui stesso con due varianti: rossa a strisce bianche e nere e bianca a strisce nere). Per essere più precisi la chitarra era composta da un corpo di una Stratocaster, il manico di una Charvel, un pick-up di una Gibson ES-335 e un ponte Floyd Rose.

Nel corso degli anni ha avuto numero collaborazioni con artisti di grande rilievo ma sicuramente la più famosa fu quella contenuta nell’album Thriller di Michael Jackson, ovvero, il singolo “Beat It”.

Spesso è stato citato anche nel cinema e a questo proposito vi segnalo come esempi:  Tenacious D e il destino del rock come uno dei possessori del plettro ricavato da una zanna di Satana, che sarebbe la vera fonte del suo straordinario talento e Ritorno al Futuro quando Marty McFly ad inizio della storia indossa il walkman, prende la sua chitarra e si spara un assolo di chitarra alla Van Halen (in realtà fu lo stesso Eddie a registrarlo apposta per la pellicola).

Infine, chiudo questa carrellata con una curiosità che forse solo i veri appassionati conoscono, Eddie era molto amico Dimebag Darrell (fondatore dei Pantera) quando nel 2004, l’amico scomparve prematuramente, al suo funerale suonò un assolo in sua memoria dopodiché posò la chitarra nera e gialla presente sulla copertina di Van Halen II, uno dei dischi preferiti di Dime, nella bara dei Kiss seppellendola con l'amico.

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Personalmente è una scomparsa che mi ha lasciato molto amaro in bocca, sono cresciuta con le sue canzoni, ho imparato ad ascoltare e a notare le chitarre nei brani di tutti gli artisti proprio grazie a lui e soprattutto da bambina avrò ascoltato miliardi di volte le sue “Jump”, “Panama”, “You Really Got Me” ballando come una pazza nel solotto di casa per la disperazione dei miei che non stavo mai ferma.

Inoltre, a parere mio, con la sua perdita la mia generazione e il mondo del rock è rimasta orfana di un vero padre putativo della chitarra. Tutti i musicisti e soprattutto chitarristi che conosco si sono avvicinati al mondo della musica dopo aver sentito un suo disco, tutti a scuola di musica hanno studiato i suoi pezzi e ognuno di loro lo ha sempre reputato uno dei migliori chitarristi di sempre nonché fonte di ispirazione.

Molti sono stati i pensieri di cordoglio da parte di colleghi e non solo ma voglio lasciarvi con la testimonianza raccolta da Patrick Doyle e tradotta per Rolling Stone US da un altro Guitar Hero dei nostri tempi, il grande Steve Vai, che secondo me racchiude la vera essenza e fa capire chi era veramente Eddie “Sono fortunato, ho avuto un gran bel rapporto con Edward. Sapete, una delle cose che ho scoperto standogli vicino è la sua dolcezza. E l’incredibile senso dell’umorismo. Era spiritoso ed entusiasta quando faceva qualcosa che lo eccitava. Era un uomo semplice, una specie di MacGyver. Riusciva a tenere assieme le sue cose con scotch e gomma da masticare. E sapeva come farle suonare bene. L’ho incontrato per la prima volta quando sono andato a vedere Alan Holdsworth al Roxy. A un certo punto è salito sul palco anche lui. Sono andato nel backstage e gli ho detto che stavo lavorando con Zappa. Era un fan, quindi gli ho dato il mio numero e gli ho detto che se voleva incontrare Frank, poteva farmelo sapere. Il giorno dopo il mio coinquilino mi ha detto che al telefono c’era Ed Van Halen. Gli ho dato il numero di Frank. Poco dopo il telefono ha suonato di nuovo, era Frank. Mi ha detto: «Edward Van Halen è qui, fai un salto anche tu». Sono andato a casa sua e abbiamo passato la giornata a sentire musica e suonare. All’epoca era straordinario. Ha preso una chitarra a caso, il capotasto era un po’ troppo scavato e faceva vibrare una corda. Ha recuperato un cacciavite gigantesco e l’ha infilato sotto al capotasto. Ha funzionato: abbiamo improvvisato così, con quel cacciavite che sporgeva mezzo metro. Il giorno dopo aver lasciato la band di David Lee Roth, nel 1989, mi ha telefonato. Non so come avesse fatto a saperlo. È stato l’inizio di una bella amicizia. Per sei mesi uscivamo spesso insieme, e ho imparato a conoscerlo un po’ meglio. Sono stato nel suo studio. Mi ha fatto sentire un sacco di cassette. Scriveva e suonava costantemente. Mi ha fatto ascoltare roba mai pubblicata, tutta perfettamente nel suo stile. Gli ho chiesto perché non facesse un disco solista, ma lui pensava che i dischi dei Van Halen fossero suoi dischi solisti. La roba che mi aveva fatto ascoltare era davvero buona. Dentro c’era tutto quel che amavamo del suo modo di suonare. C’è una storia che penso possa interessare ai chitarristi. Ero nello studio di casa mia, a Hollywood, con la mia chitarra, il rig, i pedali e l’amplificatore. A un certo punto è arrivato Edward. Chiacchierando mi ha detto: «Ti faccio vedere a cosa sto lavorando». Prende la mia chitarra, inizia a suonare e tira fuori un suono alla Edward Van Halen. Era la mia chitarra, ma non suonava per niente come me. Era il suo “brown sound”. C’era tutto quello che amiamo del suo timbro. Suonava con la mia attrezzatura e riusciva ad essere comunque sé stesso. Il sabato mattina andavamo a giocare a softball con suo fratello e altri amici. Era fantastico. Una volta mi ha detto una cosa interessante: «Pensavo che non mi saresti piaciuto» o qualcosa del genere. Entrare nella band di David Lee Roth mi dava la grande opportunità di suonare canzoni rock composte meravigliosamente bene. Erano grandiose. Nessuno, ovviamente, può suonarle come Edward, ma ho fatto del mio meglio. Stare sul palco con Dave e fare quei pezzi era uno spasso. Mi piaceva Unchained, per l’accordatura abbassata. Molto heavy. Pretty Woman aveva una gran melodia. Anche Panama era uno spasso. E ovviamente Hot for Teacher. Non avrei mai potuto suonare come lui. Non ci ho neanche provato. Solo un idiota proverebbe a competere con Eddie Van Halen. Lo sapevo fin dall’inizio. Ma se suoni quei pezzi e sei un chitarrista, ne intravedi la struttura. Ed è notevole. Quando registravamo Eat ‘em and Smile con Ted Templeman, mi ha fatto sentire le tracce delle chitarre di Edward. Bastava una sola traccia, un microfono e la sua chitarra suonava come un’orchestra. Era il pacchetto completo, pieno di espressività e dinamica. Una delle cose che finisci per imparare frequentando persone famose come lui è che devono erigere delle barriere per proteggere privacy e sanità mentale. Edward ha dovuto farlo. Ma quando ti lasciava entrare – cioè quando pensava che fossi un tipo a posto e sulla sua lunghezza d’onda – era tutto tranne che una rockstar. Era un ragazzo semplice, divertente, creativo. Tipo il tuo vicino di casa. Eddie è riuscito a toccarci grazie al suo “orecchio interiore”. Le canzoni erano semplici e allo stesso tempo toccanti. Si percepisce la dolcezza della sua personalità – a volte poteva essere parecchio intenso, certo –, una cosa che ho visto anche conoscendolo personalmente. La sento spesso, persino nei cambi d’accordi di Jump. Perché ha smesso di pubblicare musica? Non posso dirlo con certezza, ma se devo rispondere pensando a come i miei carichi di lavoro sono cambiati nel tempo, potrei dire che si è tenuto impegnato, ma che altre cose gli sembravano più interessanti. E credo stesse combattendo per sopravvivere. Ho sentito quelle voci tanti anni fa. Dieci anni fa sapevamo che era malato, ho seguito gli sviluppi e alla fine, quando la cosa s’è fatta tremendamente seria, ho parlato con alcune persone. Sembrava grave e poi non lo sembrava più. Io e Eddie siamo molto diversi e perciò a un certo punto le nostre strade si sono separate. Non l’ho visto per sette anni o giù di lì. L’ultima volta è stato nel backstage di un concerto dei Motörhead. Non sembrava in gran forma, stava attraversando un periodo particolare, ma aveva il sorriso di sempre. Cosa abbiamo perso? Preferisco pensare a cosa abbiamo guadagnato con lui. Ogni cosa è transitoria in questo mondo. Non sappiamo quando qualcosa svanirà e quando succede significa solo che abbiamo superato il suo tempo. Mi piace pensare a quel che ci ha lasciato: è monolitico. Anni fa vi ho rilasciato un’intervista. Mi avete chiesto chi erano i chitarristi che avevano rivoluzionato tutto. A intuito, direi che nel rock ci sono Hendrix e Van Halen. Ci sono stati tantissimi grandi chitarristi, ma quei due hanno rivoluzionato sia il modo di suonare lo strumento, sia il modo di scrivere musica, di vestire, di stare sul palco. È un cambiamento profondo. Lui è uno di quei monoliti. Dopo la sua morte, la comunità chitarristica è sotto shock. Vorrei dire questo: concentriamoci su quel che ci ha dato, perché è stato un grande dono. Era un genio.”

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Detto questo chiudo questo angolo dei ricordi perché a volte le parole possono diventare superflue, sicuramente questo personaggio ha dato tanto alla musica e a tutti noi e con lui se ne va un pezzo della nostra vita oltre a un vero genio e talento della chitarra.